Michele, 30 anni si è ucciso. La sua lettera parla del tradimento che la sua generazione ha dovuto subire; del furto del futuro, dell'insulto dei sogni.
Qualcuno dirà che era solo un depresso; qualcuno dirà che doveva rimboccarsi le maniche e provare lavori diversi dal grafico; qualcuno dirà che è stato vigliacco; qualcuno dirà che questi giovani non sanno cos'è il sacrificio perchè ai tempi miei si che si faticava! ecc ecc.
Io penso che in fondo ognuno di questi obiettori potrebbe avere un po' di ragione (ma poca....anzi talmente poca che tutto sommato hanno solo torto. Tiè) ma credo anche che Michele abbia espresso pienamente il suo dissenso.
La sua lettera non è piagnucolante.
Si potrebbe definire un vero e proprio manifesto.
Non una dichiarazione di resa ma piuttosto una dichiarazione di guerra al mondo così com'è.
Ha scelto di chiamarsi fuori volontariamente e di scendere da una giostra che non gli ha mai dimostrato che valesse la pena di pagare il biglietto per un altro giro.
Ognuno di noi ha affrontato un percorso più o meno tortuoso per arrivare fino a qui.
Contenti, scontenti, delusi o fieri; feriti gravemente o appena scalfiti, chi siamo noi per giudicare?
Michele non sarà ricordato come Mishima per il suo atto ma qui, in questo nascostissimo angolo di web, dove la gente capita per caso mentre cercava una canzone, qui io gli lascio spazio per chiarire il suo pensiero
“Ho
vissuto (male) per trent’anni, qualcuno dirà che è troppo poco. Quel
qualcuno non è in grado di stabilire quali sono i limiti di
sopportazione, perché sono soggettivi, non oggettivi. Ho cercato di
essere una brava persona, ho commesso molti errori, ho fatto molti tentativi, ho cercato di darmi un senso e uno scopo usando le mie risorse, di fare del malessere un’arte.
Ma
le domande non finiscono mai, e io di sentirne sono stufo. E sono stufo
anche di pormene. Sono stufo di fare sforzi senza ottenere risultati,
stufo di critiche, stufo di colloqui di lavoro come grafico inutili,
stufo di sprecare sentimenti e desideri per l’altro genere (che
evidentemente non ha bisogno di me), stufo di invidiare, stufo di
chiedermi cosa si prova a vincere, di dover giustificare la mia
esistenza senza averla determinata, stufo di dover rispondere alle
aspettative di tutti senza aver mai visto soddisfatte le mie, stufo di
fare buon viso a pessima sorte, di fingere interesse, di illudermi, di essere preso in giro, di essere messo da parte e di sentirmi dire che la sensibilità è una grande qualità.
Tutte balle. Se la
sensibilità fosse davvero una grande qualità, sarebbe oggetto di
ricerca. Non lo è mai stata e mai lo sarà, perché questa è la realtà
sbagliata, è una dimensione dove conta la praticità che non premia i
talenti, le alternative, sbeffeggia le ambizioni, insulta i sogni e
qualunque cosa non si possa inquadrare nella cosiddetta normalità. Non
la posso riconoscere come mia. Da questa realtà non si può pretendere
niente. Non si può pretendere un lavoro, non si può pretendere di essere
amati, non si possono pretendere riconoscimenti, non si può pretendere
di pretendere la sicurezza, non si può pretendere un ambiente stabile.
A
quest’ultimo proposito, le cose per voi si metteranno talmente male che
tra un po’ non potrete pretendere nemmeno cibo, elettricità o acqua
corrente, ma ovviamente non è più un mio problema. Il futuro sarà un
disastro a cui non voglio assistere, e nemmeno partecipare. Buona
fortuna a chi se la sente di affrontarlo. Non è assolutamente questo il
mondo che mi doveva essere consegnato, e nessuno mi può costringere a
continuare a farne parte. È un incubo di problemi, privo di identità,
privo di garanzie, privo di punti di riferimento, e privo ormai anche di
prospettive.
Non ci sono le condizioni per impormi,
e io non ho i poteri o i mezzi per crearle. Non sono rappresentato da
niente di ciò che vedo e non gli attribuisco nessun senso: io non
c’entro nulla con tutto questo. Non posso passare la vita a combattere
solo per sopravvivere, per avere lo spazio che sarebbe dovuto, o quello
che spetta di diritto, cercando di cavare il meglio dal peggio che si
sia mai visto per avere il minimo possibile. Io non me ne faccio niente
del minimo, volevo il massimo, ma il massimo non è a mia disposizione.
Di no come risposta non si vive, di no si muore, e non c’è mai stato
posto qui per ciò che volevo, quindi in realtà, non sono mai esistito.
Io non ho tradito, io mi sento tradito, da un’epoca che si permette di
accantonarmi, invece di accogliermi come sarebbe suo dovere fare.
Lo
stato generale delle cose per me è inaccettabile, non intendo più
farmene carico e penso che sia giusto che ogni tanto qualcuno ricordi a
tutti che siamo liberi, che esiste l’alternativa al soffrire: smettere.
Se vivere non può essere un piacere, allora non può nemmeno diventare un
obbligo, e io l’ho dimostrato. Mi rendo conto di fare del male e di
darvi un enorme dolore, ma la mia rabbia ormai è tale che se non faccio
questo, finirà ancora peggio, e di altro odio non c’è davvero bisogno.
Sono entrato in questo mondo da persona libera, e da persona libera ne
sono uscito, perché non mi piaceva nemmeno un po’. Basta con le
ipocrisie.
Non mi faccio ricattare dal fatto che è
l’unico possibile, io modello unico non funziona. Siete voi che fate i
conti con me, non io con voi. Io sono un anticonformista, da sempre, e
ho il diritto di dire ciò che penso, di fare la mia scelta, a qualsiasi
costo. Non esiste niente che non si possa separare, la morte è solo lo
strumento. Il libero arbitrio obbedisce all’individuo, non ai comodi
degli altri. Io lo so che questa cosa vi sembra una follia, ma non lo è.
È solo delusione. Mi è passata la voglia: non qui e non ora. Non posso
imporre la mia essenza, ma la mia assenza sì, e il nulla assoluto è
sempre meglio di un tutto dove non puoi essere felice facendo il tuo
destino.
Perdonatemi, mamma e papà, se potete, ma
ora sono di nuovo a casa. Sto bene. Dentro di me non c’era caos. Dentro
di me c’era ordine. Questa generazione si vendica di un furto, il furto
della felicità. Chiedo scusa a tutti i miei amici. Non odiatemi. Grazie
per i bei momenti insieme, siete tutti migliori di me. Questo non è un
insulto alle mie origini, ma un’accusa di alto tradimento.
P.S. Complimenti al ministro Poletti. Lui sì che ci valorizza a noi stronzi.
Ho resistito finché ho potuto”.
Michele