mercoledì 22 febbraio 2017
La Luisona
Oggi ho venduto una Luisona!
Voi vi chiederete cosa sia una Luisona.
Nel gergo librario inventato da me medesima dicesi Luisona di un libro così vecchio da non poter più essere reso all'editore.
Di seguito potete leggere il breve capitolo tratto da Bar sport di Stefano Benni, il vero inventore della Luisona.
Buon divertimento.
"Al bar Sport non si mangia quasi mai. C’è una bachecacon delle paste, ma è puramente coreografica. Sono paste ornamentali, spesso veri e propri pezzi d’artigianato.
Sono lì da anni, tanto che i clienti abituali, ormai, le conoscono una per una.
Entrando dicono: «Lameringa è un po’ sciupata, oggi. Sarà il caldo».
Oppure: «È ora di dar la polvere al krapfen».
Solo, qualche volta, il cliente occasionaleosa avvicinarsi al sacrario.
Una volta, ad esempio, entrò un rappresentante di Milano.
Aprì la bacheca e si mise in bocca una pastonabianca e nera, con sopra una spruzzata di quella bellissima granellain duralluminio che sola contraddistingue la pasta veramente cattiva.
Subito nel bar si sparse la voce: «Hanno mangiato la Luisona!»
La Luisona era la decana delle paste, e si trovava nella bacheca dal1959. Guardando il colore della sua crema i vecchi riuscivano a trarre le previsioni del tempo.
La sua scomparsa fu un colpo durissimo per tutti.
Il rappresentante fu invitato a uscire nel generale disprezzo. Nessuno lo toccò, perché il suo gesto malvagio conteneva già in sé la più tremenda delle punizioni.
Infatti fu trovato appena un’oradopo, nella toilette di un autogrill di Modena, in preda ad atrocidolori. La Luisona si era vendicata.
La particolarità di queste paste è infatti la non facile digeribilità.
Quando la pasta viene ingerita, per prima cosa la granella buca l’esofago. Poi, quando la pasta arriva al fegato, questo la analizza erinuncia, spostandosi di un colpo a sinistra e lasciandola passare. La pasta, ancora intera, percorre l’intestino e cade a terra intatta dopo pochi secondi.
Se il barista non ha visto niente, potete anche rimetterla nella bacheca e andarvene."
Benni, Bar sport, Feltrinelli
venerdì 10 febbraio 2017
Il lungo viaggio verso le fonti del diritto
Pronto vorrei farmi mettere da parte il
libro di Sorrentino, Le fonti del diritto. Passo domattina
Va bene ma non so se domani siamo
aperti perchè chi dovrebbe lavorare sabato mattina ha la febbre. Ti
lascio il libro all'altro punto vendita che è dietro l'angolo
rispetto a noi
Ah. Dove?
E' facile è in via **** al civico
numero 1 non ti puoi sbagliare
Ah. Aspetti.... dove?
Via **** 1..... Scusa ma tu sai dove
siamo noi? Voglio dire: sai dove si trova la nostra libreria?
Si lo so.
Benissimo. Guardando l'ingresso della
libreria devi dirigerti a sinistra e girare l'angolo. Fai la discesa
e arrivi al civico 1. Fa angolo
Quindi poi giro a destra
Cosa?
Prima a sinistra e poi a destra
(mmmhhhhhfffff sospirone) Si (deficiente). Tu vai a
sinistra e arrivi all'angolo del palazzo (brutta merda).
Non lasci mai il marciapiede (che sennò
le macchine ti acciaccano e ti perdi nella terra di Mordor).
Segui il perimetro del palazzo (forse
ho osato troppo usando la parola perimetro?) quindi si, all'angolo
giri a destra (stronzone).
Poi sempre dritto (dritto come la
traiettoria di un siluro di merda lanciato nel water dopo ore di
attesa in cerca di un bagno).
Passerai davanti a una farmacia, a una
frutteria (dove prego che il fruttarolo bangla ti lanci una raffica
di arance marce nel miglior stile del carnevale di Ivrea), quando il
palazzo finisce (poco prima di incontrare il Balrog che si trova appena oltre l'angolo)
...all'angolo proprio troverai la libreria al civico n1.
...all'angolo proprio troverai la libreria al civico n1.
......mh....va bene. Allora il libro lo
trovo lì?
(no ci trovi un orco arrapato che
somministrerà una cura medievale al tuo povero culo) Si lo trovi lì.
Dammi il cognome così te lo assegno
Il mio cognome?
(no voglio il soprannome zozzo che ti
dà chi fa sesso con te) Si. Così scrivo che tu devi ritrare la
copia che mando di là.
Mi chiamo ******
Bene ***** è tutto chiaro? (se mi dici
di no ti lancio una maledizione zingara come nell'Occhio del male di
Stephen King)
Si. Se ho problemi casomai chiamo.
(quale parte della frase: "domani
siamo chiusi qui e aperti solo di là" ti è sfuggita?) VA BENE!
(...addio merdaccia)
mercoledì 8 febbraio 2017
L'insulto dei sogni e il furto del futuro
Michele, 30 anni si è ucciso. La sua lettera parla del tradimento che la sua generazione ha dovuto subire; del furto del futuro, dell'insulto dei sogni.
Qualcuno dirà che era solo un depresso; qualcuno dirà che doveva rimboccarsi le maniche e provare lavori diversi dal grafico; qualcuno dirà che è stato vigliacco; qualcuno dirà che questi giovani non sanno cos'è il sacrificio perchè ai tempi miei si che si faticava! ecc ecc.
Io penso che in fondo ognuno di questi obiettori potrebbe avere un po' di ragione (ma poca....anzi talmente poca che tutto sommato hanno solo torto. Tiè) ma credo anche che Michele abbia espresso pienamente il suo dissenso.
La sua lettera non è piagnucolante.
Si potrebbe definire un vero e proprio manifesto.
Non una dichiarazione di resa ma piuttosto una dichiarazione di guerra al mondo così com'è.
Ha scelto di chiamarsi fuori volontariamente e di scendere da una giostra che non gli ha mai dimostrato che valesse la pena di pagare il biglietto per un altro giro.
Ognuno di noi ha affrontato un percorso più o meno tortuoso per arrivare fino a qui.
Contenti, scontenti, delusi o fieri; feriti gravemente o appena scalfiti, chi siamo noi per giudicare?
Michele non sarà ricordato come Mishima per il suo atto ma qui, in questo nascostissimo angolo di web, dove la gente capita per caso mentre cercava una canzone, qui io gli lascio spazio per chiarire il suo pensiero
“Ho vissuto (male) per trent’anni, qualcuno dirà che è troppo poco. Quel qualcuno non è in grado di stabilire quali sono i limiti di sopportazione, perché sono soggettivi, non oggettivi. Ho cercato di essere una brava persona, ho commesso molti errori, ho fatto molti tentativi, ho cercato di darmi un senso e uno scopo usando le mie risorse, di fare del malessere un’arte.
Ma le domande non finiscono mai, e io di sentirne sono stufo. E sono stufo anche di pormene. Sono stufo di fare sforzi senza ottenere risultati, stufo di critiche, stufo di colloqui di lavoro come grafico inutili, stufo di sprecare sentimenti e desideri per l’altro genere (che evidentemente non ha bisogno di me), stufo di invidiare, stufo di chiedermi cosa si prova a vincere, di dover giustificare la mia esistenza senza averla determinata, stufo di dover rispondere alle aspettative di tutti senza aver mai visto soddisfatte le mie, stufo di fare buon viso a pessima sorte, di fingere interesse, di illudermi, di essere preso in giro, di essere messo da parte e di sentirmi dire che la sensibilità è una grande qualità.
Tutte balle. Se la sensibilità fosse davvero una grande qualità, sarebbe oggetto di ricerca. Non lo è mai stata e mai lo sarà, perché questa è la realtà sbagliata, è una dimensione dove conta la praticità che non premia i talenti, le alternative, sbeffeggia le ambizioni, insulta i sogni e qualunque cosa non si possa inquadrare nella cosiddetta normalità. Non la posso riconoscere come mia. Da questa realtà non si può pretendere niente. Non si può pretendere un lavoro, non si può pretendere di essere amati, non si possono pretendere riconoscimenti, non si può pretendere di pretendere la sicurezza, non si può pretendere un ambiente stabile.
A quest’ultimo proposito, le cose per voi si metteranno talmente male che tra un po’ non potrete pretendere nemmeno cibo, elettricità o acqua corrente, ma ovviamente non è più un mio problema. Il futuro sarà un disastro a cui non voglio assistere, e nemmeno partecipare. Buona fortuna a chi se la sente di affrontarlo. Non è assolutamente questo il mondo che mi doveva essere consegnato, e nessuno mi può costringere a continuare a farne parte. È un incubo di problemi, privo di identità, privo di garanzie, privo di punti di riferimento, e privo ormai anche di prospettive.
Non ci sono le condizioni per impormi, e io non ho i poteri o i mezzi per crearle. Non sono rappresentato da niente di ciò che vedo e non gli attribuisco nessun senso: io non c’entro nulla con tutto questo. Non posso passare la vita a combattere solo per sopravvivere, per avere lo spazio che sarebbe dovuto, o quello che spetta di diritto, cercando di cavare il meglio dal peggio che si sia mai visto per avere il minimo possibile. Io non me ne faccio niente del minimo, volevo il massimo, ma il massimo non è a mia disposizione. Di no come risposta non si vive, di no si muore, e non c’è mai stato posto qui per ciò che volevo, quindi in realtà, non sono mai esistito. Io non ho tradito, io mi sento tradito, da un’epoca che si permette di accantonarmi, invece di accogliermi come sarebbe suo dovere fare.
Lo stato generale delle cose per me è inaccettabile, non intendo più farmene carico e penso che sia giusto che ogni tanto qualcuno ricordi a tutti che siamo liberi, che esiste l’alternativa al soffrire: smettere. Se vivere non può essere un piacere, allora non può nemmeno diventare un obbligo, e io l’ho dimostrato. Mi rendo conto di fare del male e di darvi un enorme dolore, ma la mia rabbia ormai è tale che se non faccio questo, finirà ancora peggio, e di altro odio non c’è davvero bisogno. Sono entrato in questo mondo da persona libera, e da persona libera ne sono uscito, perché non mi piaceva nemmeno un po’. Basta con le ipocrisie.
Non mi faccio ricattare dal fatto che è l’unico possibile, io modello unico non funziona. Siete voi che fate i conti con me, non io con voi. Io sono un anticonformista, da sempre, e ho il diritto di dire ciò che penso, di fare la mia scelta, a qualsiasi costo. Non esiste niente che non si possa separare, la morte è solo lo strumento. Il libero arbitrio obbedisce all’individuo, non ai comodi degli altri. Io lo so che questa cosa vi sembra una follia, ma non lo è. È solo delusione. Mi è passata la voglia: non qui e non ora. Non posso imporre la mia essenza, ma la mia assenza sì, e il nulla assoluto è sempre meglio di un tutto dove non puoi essere felice facendo il tuo destino.
Perdonatemi, mamma e papà, se potete, ma ora sono di nuovo a casa. Sto bene. Dentro di me non c’era caos. Dentro di me c’era ordine. Questa generazione si vendica di un furto, il furto della felicità. Chiedo scusa a tutti i miei amici. Non odiatemi. Grazie per i bei momenti insieme, siete tutti migliori di me. Questo non è un insulto alle mie origini, ma un’accusa di alto tradimento.
P.S. Complimenti al ministro Poletti. Lui sì che ci valorizza a noi stronzi.
Ho resistito finché ho potuto”.
Michele
Qualcuno dirà che era solo un depresso; qualcuno dirà che doveva rimboccarsi le maniche e provare lavori diversi dal grafico; qualcuno dirà che è stato vigliacco; qualcuno dirà che questi giovani non sanno cos'è il sacrificio perchè ai tempi miei si che si faticava! ecc ecc.
Io penso che in fondo ognuno di questi obiettori potrebbe avere un po' di ragione (ma poca....anzi talmente poca che tutto sommato hanno solo torto. Tiè) ma credo anche che Michele abbia espresso pienamente il suo dissenso.
La sua lettera non è piagnucolante.
Si potrebbe definire un vero e proprio manifesto.
Non una dichiarazione di resa ma piuttosto una dichiarazione di guerra al mondo così com'è.
Ha scelto di chiamarsi fuori volontariamente e di scendere da una giostra che non gli ha mai dimostrato che valesse la pena di pagare il biglietto per un altro giro.
Ognuno di noi ha affrontato un percorso più o meno tortuoso per arrivare fino a qui.
Contenti, scontenti, delusi o fieri; feriti gravemente o appena scalfiti, chi siamo noi per giudicare?
Michele non sarà ricordato come Mishima per il suo atto ma qui, in questo nascostissimo angolo di web, dove la gente capita per caso mentre cercava una canzone, qui io gli lascio spazio per chiarire il suo pensiero
“Ho vissuto (male) per trent’anni, qualcuno dirà che è troppo poco. Quel qualcuno non è in grado di stabilire quali sono i limiti di sopportazione, perché sono soggettivi, non oggettivi. Ho cercato di essere una brava persona, ho commesso molti errori, ho fatto molti tentativi, ho cercato di darmi un senso e uno scopo usando le mie risorse, di fare del malessere un’arte.
Ma le domande non finiscono mai, e io di sentirne sono stufo. E sono stufo anche di pormene. Sono stufo di fare sforzi senza ottenere risultati, stufo di critiche, stufo di colloqui di lavoro come grafico inutili, stufo di sprecare sentimenti e desideri per l’altro genere (che evidentemente non ha bisogno di me), stufo di invidiare, stufo di chiedermi cosa si prova a vincere, di dover giustificare la mia esistenza senza averla determinata, stufo di dover rispondere alle aspettative di tutti senza aver mai visto soddisfatte le mie, stufo di fare buon viso a pessima sorte, di fingere interesse, di illudermi, di essere preso in giro, di essere messo da parte e di sentirmi dire che la sensibilità è una grande qualità.
Tutte balle. Se la sensibilità fosse davvero una grande qualità, sarebbe oggetto di ricerca. Non lo è mai stata e mai lo sarà, perché questa è la realtà sbagliata, è una dimensione dove conta la praticità che non premia i talenti, le alternative, sbeffeggia le ambizioni, insulta i sogni e qualunque cosa non si possa inquadrare nella cosiddetta normalità. Non la posso riconoscere come mia. Da questa realtà non si può pretendere niente. Non si può pretendere un lavoro, non si può pretendere di essere amati, non si possono pretendere riconoscimenti, non si può pretendere di pretendere la sicurezza, non si può pretendere un ambiente stabile.
A quest’ultimo proposito, le cose per voi si metteranno talmente male che tra un po’ non potrete pretendere nemmeno cibo, elettricità o acqua corrente, ma ovviamente non è più un mio problema. Il futuro sarà un disastro a cui non voglio assistere, e nemmeno partecipare. Buona fortuna a chi se la sente di affrontarlo. Non è assolutamente questo il mondo che mi doveva essere consegnato, e nessuno mi può costringere a continuare a farne parte. È un incubo di problemi, privo di identità, privo di garanzie, privo di punti di riferimento, e privo ormai anche di prospettive.
Non ci sono le condizioni per impormi, e io non ho i poteri o i mezzi per crearle. Non sono rappresentato da niente di ciò che vedo e non gli attribuisco nessun senso: io non c’entro nulla con tutto questo. Non posso passare la vita a combattere solo per sopravvivere, per avere lo spazio che sarebbe dovuto, o quello che spetta di diritto, cercando di cavare il meglio dal peggio che si sia mai visto per avere il minimo possibile. Io non me ne faccio niente del minimo, volevo il massimo, ma il massimo non è a mia disposizione. Di no come risposta non si vive, di no si muore, e non c’è mai stato posto qui per ciò che volevo, quindi in realtà, non sono mai esistito. Io non ho tradito, io mi sento tradito, da un’epoca che si permette di accantonarmi, invece di accogliermi come sarebbe suo dovere fare.
Lo stato generale delle cose per me è inaccettabile, non intendo più farmene carico e penso che sia giusto che ogni tanto qualcuno ricordi a tutti che siamo liberi, che esiste l’alternativa al soffrire: smettere. Se vivere non può essere un piacere, allora non può nemmeno diventare un obbligo, e io l’ho dimostrato. Mi rendo conto di fare del male e di darvi un enorme dolore, ma la mia rabbia ormai è tale che se non faccio questo, finirà ancora peggio, e di altro odio non c’è davvero bisogno. Sono entrato in questo mondo da persona libera, e da persona libera ne sono uscito, perché non mi piaceva nemmeno un po’. Basta con le ipocrisie.
Non mi faccio ricattare dal fatto che è l’unico possibile, io modello unico non funziona. Siete voi che fate i conti con me, non io con voi. Io sono un anticonformista, da sempre, e ho il diritto di dire ciò che penso, di fare la mia scelta, a qualsiasi costo. Non esiste niente che non si possa separare, la morte è solo lo strumento. Il libero arbitrio obbedisce all’individuo, non ai comodi degli altri. Io lo so che questa cosa vi sembra una follia, ma non lo è. È solo delusione. Mi è passata la voglia: non qui e non ora. Non posso imporre la mia essenza, ma la mia assenza sì, e il nulla assoluto è sempre meglio di un tutto dove non puoi essere felice facendo il tuo destino.
Perdonatemi, mamma e papà, se potete, ma ora sono di nuovo a casa. Sto bene. Dentro di me non c’era caos. Dentro di me c’era ordine. Questa generazione si vendica di un furto, il furto della felicità. Chiedo scusa a tutti i miei amici. Non odiatemi. Grazie per i bei momenti insieme, siete tutti migliori di me. Questo non è un insulto alle mie origini, ma un’accusa di alto tradimento.
P.S. Complimenti al ministro Poletti. Lui sì che ci valorizza a noi stronzi.
Ho resistito finché ho potuto”.
Michele
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