giovedì 21 giugno 2018

Ragazze elettriche di Naomi Alderman

E' esistito un tempo in cui gli uomini erano la classe egemone e le donne la classe subalterna?
Le testimonianze archeologiche non supportano questa teoria ma è pur vero che non vi sono reperti che risalgano al periodo precedente la grande Catastrofe di 5000 anni prima quando un'apocalisse nucleare ed elettromagnetica spazzò via popoli, nazioni e con essi l'intero retaggio che custodivano.
Un ricercatore tenta di colmare il vuoto di informazioni che risalgono al periodo precedente il cataclisma e nel farlo ipotizza l'esistenza di una società profondamente diversa da quella della sua epoca.
Ne scaturisce così una narrazione degli eventi attraverso diverse voci di uomini e donne che vissero gli anni immediatamente precedenti l'apocalisse.
Questa è la traccia generale di 'Ragazze elettriche' di Naomi Alderman.
Potremmo definire questo libro un romanzo distopico ed effettivamente lo è visto che tratta di un presente alternativo; il fatto è che questo presente alternativo è così vicino al nostro che si fatica a non sentirlo proprio.
La storia ci scorre letteralmente sulla pelle, come l'elettricità di cui parla.
Un bel giorno tutte le adolescenti del mondo, quasi contemporaneamente, scoprono di poter emettere scariche elettriche dalle mani. Un muscolo striato tra le scapole permette loro di generare energia. Un'energia che possono trasmettere alle donne adulte per risvegliare il loro muscolo striato.
Questa è la storia degli eventi mondiali che potrebbero accadere dal giorno successivo a questa scoperta fino ad un'ipotetica conclusione 'basata sulle prove del caso' (come direbbe Hannibal Lecter).
Immaginiamo per un attimo cosa potrebbe accadere se tutte le femmine Sapiens sviluppassero una capacità del genere.
Già sento le donne esultare e gli uomini rabbrividire.
Ammetto di aver fatto anch'io capolino nel mio lato oscuro crogiolandomi all'idea di punizioni elettriche inflitte a porconi e malintenzionati che mi costringono a guardarmi le spalle ogni volta che cammino in una strada desolata. Ogni donna sulla faccia della terra sa cosa voglia dire valutare un percorso in solitaria.
Se il libro fosse solo questo però sarebbe una stronzata.
La nostra Naomi Alderman ci porta per mano attraverso tanti scenari in varie parti del mondo. Così gioiremo con le donne di Calcutta e della Nigeria che finalmente avranno la loro vendetta verso i loro aguzzini. Faremo il tifo per tutte le ragazze dell'est Europa vittime della tratta di schiave sessuali che finalmente friggeranno i loro stupratori.
Piano piano però cominceremo ad allarmarci di fronte ai primi fenomeni di fondamentalismo religioso fino a quando non arriveremo a sconcertarci di fronte all'emanazione di leggi sessiste che impediranno agli uomini di vivere liberamente dal punto di vista economico e intellettuale.
Da lì alla violenza indiscriminata operata da chi agisce in modi orribili solo perchè può farlo è un passo brevissimo.
Chi ha visto The handmaids tale o ha letto i Racconti dell'ancella di M. Atwood sa di cosa parlo.
Non è un libro per donne. E' per tutti. Anche perchè, diciamoci la verità, nun se semo rotti er cazzo de fà a gara tra chi è mejo? Maschi, femmine, giaguari e tigri.
Cominciamo a meritarcela sta tassonomia: Sapiens


martedì 12 giugno 2018

Il canaro di Luca Moretti

Non so perchè sia rispuntato fuori tutto insieme come uno sbuffo d'acqua da un gorgo del Tevere ma in questi giorni abbiamo ben due film che parlano di questa vecchia storia: Dogman e Rabbia furiosa.
La storia del Canaro a Roma è stata assorbita dall'immaginario collettivo come farebbe l'inchiostro di un tatuaggio. Col tempo va anche sbiadendosi ma sta lì; diventa un modo di dire, un appellativo, una metafora per una minaccia.
Tutti a Roma sanno chi è er Canaro della Magliana ma pochi sanno che di tutto ciò che se ne è detto è vero si e no un quarto.
Da fatto di cronaca succulento questo omicidio ha fatto un breve balzo nella storia per diventare immediatamente leggenda oscura e, come sempre accade, il fatto storico riferito centinaia di volte da centinaia di bocche è diventato un topos letterario, un mito, spogliato della carne e del sangue dei protagonisti nonostante parli solo di carne e sangue.
Della vittima non è fregato più niente a nessuno. Si diceva solo fosse un infame, un tossico o un cravattaro. Uno che se l'è meritata la finaccia che ha fatto.
Dell'autore si ricorda solo che lavoro faceva: a Roma chi lava i cani è detto canaro. Forse è più esatto dire 'era detto' visto che oggi se dici 'canaro' ti guardano allarmati.
Nel 1988 un canaro divenne Il Canaro appropriandosi suo malgrado dell'appellativo gergale e togliendolo a tutta una categoria.
Luca Moretti ci presenta finalmente la storia di quest'uomo raccontandola attraverso la sua stessa voce.
Pubblicato da Red Star Press il suo è un lavoro accurato che ha unito il memoriale incompiuto che il Canaro scrisse in carcere con gli atti dei processi e le interviste.
Ne esce un diario breve e profondo.
Non starò qui a raccontare il fattaccio. Leggetevi il libro.
Quello che voglio raccontare è l'intensità degli scenari evocati.
Qui non si parla solo di un delitto.
Qui si narra la storia di un luogo incerto: la Magliana.
Citando dal testo: "quaranta ettari, sette metri sotto l'argine, terra muffa e zanzare per oltre cinquantamila persone (...) alla Magliana tutto rimandava a promesse mancate, a un futuro che rimaneva sempre dall'altra parte del Tevere Infame".
Un quartiere quello della Magliana che nasce disordinatamente, ospitando sfollati da altri quartieri e immigrati da altre regioni. Baracche e case occupate sono il teatro di questa storia fatta di personaggi fortemente connotati ma con un'etica fluida come il fango che alla Magliana non si secca mai veramente.
Una fluidità che deriva dall'essere cresciuti per la strada, vera maestra di vita, le cui lezioni non insegnano codici rigidi di comportamento.
Chi nasce per strada, dice il protagonista, è puro perchè è libero e non soggiace alle regole del bene e del male.
Perfino le leggi non scritte dell'onore possono essere disattese in base alla necessità anche se alla fine rimane un'unica verità:

"a Roma solo il Tevere ha il diritto di essere infame"