E’ un po’ che volevo parlare di un libro letto di recente, ma come spesso mi capita, più un argomento mi tocca più mi riesce difficile parlarne. E’ come se, dopo aver interiorizzato un’idea, non riuscissi a tirarla fuori in maniera razionale. Il libro di cui parlo è Il corpo delle donne di Lorella Zanardo. Questo libro nasce successivamente all’omonimo documentario a dir poco scioccante.
La quarta recita così:
Nel maggio del 2009 Lorella Zanardo ha messo in rete un documentario (www.ilcorpodelledonne.com), realizzato con Cesare Cantù e Marco Malfi Chindemi, che si proponeva di innalzare il livello di consapevolezza sull’immagine delle donne nella tv italiana. Oggetto e titolo: Il Corpo delle Donne. È stato l’inizio di un cambiamento e di una grande spinta per far riguadagnare centralità alle donne e misurare la loro incidenza sul tessuto sociale e culturale del nostro paese. L’autrice racconta qui la genesi del documentario, le reazioni che ha suscitato, l’interesse inaspettato da parte delle giovani generazioni, la necessità di uscire dagli stereotipi per giungere a una nuova definizione del femminile. Inoltre, mette a fuoco nuovi strumenti di lettura dell’immagine televisiva e dei messaggi che questa veicola. E con il capitolo Nuovi occhi per la tv passa dalla denuncia alla proposta di strumenti che consentono di guardare la tv con consapevolezza. “Spegnere la tv oggi non serve,” dice Lorella Zanardo, “il vero atto innovativo è guardarla. Insieme a chi normalmente la guarda.”
Il libro parte alla grande: la Zanardo porta il figlio a vedere una mostra fotografica sugli anni ’70 e si ritrova, felicemente stupita, in mezzo ad una calca spaventosa. La delusione sarà cocente quando scoprirà che la folla non è lì perché mossa da passione civile ma perché al piano di sotto c’è niente di meno che il Gabibbo. Partirà da questo piccolo evento nella vita della giornalista un’indagine sulla televisione italiana e sul ruolo che la donna incarna nel piccolo schermo.
Il panorama è desolante: ragazze appese in mezzo ai prosciutti, vestite con abiti sadomaso in fascia oraria protetta, conduttori di quiz e giochi vari, vestiti in giacca e cravatta (ad indicare la professionalità) affiancati da donne in bikini (ad indicare la funzione puramente decorativa e sessualmente stimolante). Inquadrature strettissime fra le gambe di una ragazza in costume che sale una scaletta per tuffarsi in una piscina; commenti di conduttori sul seno di una ragazza del pubblico (“Le tette le hai lasciate a casa?”); e poi donne mature che conducono programmi mattutini o pomeridiani con le facce devastate dalla chirurgia plastica che gonfia, tira e deforma il volto nascondendolo dietro un ‘burka di carne’ (parole dell’autrice) che nega loro l’identità e l’espressione dei sentimenti attraverso la mimica facciale.
La Zanardo ci ricorda una donna vera, che non temeva di offrire l’immagine del suo vero sé.
Anna Magnani diceva al truccatore sul set: non coprirmi le occhiaie e le rughe! Ci ho messo una vita a farmele.
Mai come in questo momento diventa attuale una lettura del genere e si capisce bene quale sia la radice di questa sottocultura che ha portato all’ammasso i cervelli di tanti, troppi telespettatori che sono anestetizzati di fronte ad una ridondanza di corpi nudi di donne che non parlano, dovendo solo offrire all’occhio di chi guarda il loro corpo.
Vi ricordate Drive In?
Il nostro mister B. lavora col cervello della gente dagli anni ’80 offrendo un circo di giullari dalla comicità scadente e mignotte a basso costo. I risultati oggi, dopo più di 30 anni di questa cultura televisiva, sono ben descritti da Ray Bradbury in Farenheit 451. Libri bruciati, televisioni accese tutto il giorno dove gli attori si rivolgono allo spettatore chiamandolo cugino/a, facendolo sentire parte della famiglia.
Non riconoscete in questa descrizione un familiare o il vicino di scrivania o il passeggero accanto a voi sul mezzo che vi porta al lavoro? Quante volte avete sentito qualcuno esprimere il proprio parere sul comportamento del partecipante di questo o quel reality?
C’è un assopimento della capacità di giudizio e uno stimolo continuo verso un voyeurismo un po’ sadico nei confronti della donna che viene guardata, giudicata e maltrattata in misura direttamente proporzionale alla sua bellezza.
Poi ci stupiamo che gli scandalosi comportamenti del premier non suscitino il conato di vomito nella popolazione. Le interviste al popolino ci offrono vecchiacci libidinosi che fanno il tifo per un 73enne che va con le ragazzine o 30enni porno-dipendenti che invidiano il suddetto 73enne perché c’ha i soldi e il potere. Quello che non comprendo sono le elettrici di centrodestra che ancora difendono il vecchio porco, come le mamme degli stupratori sempre pronte a dire che è stata la ragazza a provocare.