mercoledì 23 febbraio 2011

I mangiatori di morte di Michael Crichton

Ieri ho finito un simpatico libretto che certamente non è passato alla storia come il miglior libro di crichton. Parlo de I mangiatori di morte edito da Garzanti.

La storia mi aveva incuriosito dopo aver visto il film a cui è ispirato questo libro, ossia, Il tredicesimo guerriero con Antonio Banderas. Un film molto bello che ho scoperto non aver avuto molta fortuna: sembra che sia costato 80 milioni di dollari ma ne abbia incassati una sessantina.

Ma torniamo al tomo (si fa per dire visto che sono poco meno di 200 pagine).

Questa è la quarta:

Il colto dignitario arabo Ibn Fadlan viene inviato in missione diplomatica dal suo califfo nella terra dei vichinghi. Siamo nel 922 dopo Cristo, ed egli annota nel suo diario di viaggio ciò di cui è testimone. Incontra gruppi di "barbari" che curano molto meno l'igiene di quanto non facciano con il cibo, l'alcol e il sesso. Assiste ai loro riti, alla violenza delle loro cerimonie, alle orge. Quello di Fadlan con l'Europa dell'epoca è un incontro scioccante, per lui che viene dal mondo sofisticato ed evoluto di Baghdad, la "Città della pace". Ma nonostante la sua diversità, viene accolto nel clan vichingo, gode della protezione del suo capo e seguirà il gruppo fino in Scandinavia, fino alla lotta finale contro le misteriose creature della nebbia.


Il romanzo si presenta come la traduzione letterale di un’antica cronaca di viaggio giunta incompleta. In realtà è un falso molto ben presentato. una densa premessa affronta la storia del manoscritto e delle varie traduzioni giunte fino a noi e in appendice viene addirittura riportata la bibliografia di riferimento.

Lo stile di scrittura è quindi notevolmente scarno, senza descrizioni o approfondimenti emotivi dei personaggi. Traspare il giudizio negativo di un arabo colto ed erudito del X secolo nei riguardi di un popolo bellicoso e puzzolente, con modi da Klingon di trekkiana memoria, usanze violente e costumi sessuali aggressivi e disinibiti.


Man mano che la trama si dipana assistiamo ad un cambiamento di giudizio da parte di Ibn che comincia ad abituarsi alla mancanza di igiene altrui e soprattutto inizia ad apprezzare la cultura in cui suo malgrado è immerso. Lo vediamo allora ammirare la bellezza dei loro manufatti e monili, e lo vediamo apprezzare con rispetto il loro senso dell'onore e la loro preoccupazione di fare avere una morte onorevole in battaglia.


La popolazione nemica dei Wendol viene descritta in maniera abbastanza minuziosa tanto da farci intuire la loro origine: sono una sacca sopravvissuta di uomini di Neanderthal (estintisi nella realtà circa 30.000 anni fa, ma ancora presenti in Scandinavia nel 900 d.C.) che praticano il cannibalismo e venerano la grande madre. Una società apparentemente matriarcale, o meglio, governata da una singola figura femminile definita come la madre di tutti i Wendol.


Nonostante il fascino che suscita questa storia, non si riesce ad amare il romanzo proprio perché romanzo non è. Rimane il resoconto di una missione raccontato per sommi capi e come tale va letto.

…niente a che vedere con Timeline, tanto per capirci!