Il Signore si fermò a vedere il suo corpo senza vita.
Ingegnosamente concepì un piano per dividere il mostro.
Quindi la aprì in due parti, come si fa con un mitilo.
L’altra metà di lei
Egli innalzò come un paravento nei cieli:
schiacciatala, piegò la sua coda fino a formare
simile a un bracciale posto a guardia dei cieli.
Dall’Enuma Elish, poema babilonese della Creazione
Il discorso che segue è tratto da un libro molto interessante: ‘L’altra Genesi’ di Zacharia Sitchin, edito da Piemme.
Non lo definirei una lettura rilassante a causa della densità di informazioni archeologiche e linguistiche ma soprattutto scientifiche presenti. Resta comunque un testo estremamente affascinante e documentato
Riporto di seguito un breve estratto significativo di una sola delle molte analisi che Sitchin affronta.
“Perché chiamiamo Terra il nostro pianeta?
In tedesco si chiama Erde, dall’alto tedesco antico Erda; in islandese JÖRDH, in inglese Earth e in inglese medio Erthe; in gotico Airtha e, spostandoci verso est, andando a ritroso nel tempo, Ereds o Aratha in aramaico, Erd o Ertz in curdo, Eretz in ebraico.
La risposta andrebbe cercata nei testi sumeri che raccontano dell’arrivo degli Annunaki sulla Terra. In 50, guidati da E.A. (colui la cui casa è l’acqua). Essi sbarcarono nel Golfo Persico creando lì il primo insedfiamento che chiamarono E.RI.DU (casa lontano da casa).
Il termine sumero per indicare il pianeta e la sua superficie era KI. La radice linguistica KI è usata per indicare un taglio, una recisione. Così avremo KI.LA= scavo, KI.MAH= tomba, KI.IN.DAR=crepaccio ecc. nei testi astronomici sumeri KI preceduto da MUL =corpo celeste, significa appunto il pianeta che è stato tranciato. Ragion per cui, chiamando KI il pianeta, i sumeri evocavano la cosmogonia e la narrazione della Battaglia Celeste che, dalla spaccatura di Tiamat, diede origine alla Terra e alla fascia di asteroidi (Bracciale Martellato).”
Nel corso del tempo la radice KI mutò pronuncia in GI o GE. Fu importata nella lingua accadica e nelle sue diramazioni (babilonese, assiro ed ebraico) mantenedo comunque la connotazione di ‘spaccatura’, ‘burrone’ o ‘vallata profonda’. In greco la radice GE diventa il prefisso che indica
La foto qui sotto ritrae un sigillo accadico risalente al III millenio a.C., ora conservato nel Museo di Stato di Berlino col numero di catalogo VA/243.
si può osservare una grande stella centrale, il Sole, circondata da undici globi, i Pianeti.
L’antica raffigurazione del sigillo accadico mostra un pianeta di troppo, notevolmente più grande della Terra ma più piccolo di Giove e di Saturno, inserito in un’orbita a metà circa fra Marte e Giove, occupata attualmente dalla Fascia degli Asteroidi. A questo pianeta fu dato un nome circa 6000 anni fa dai Sumeri: Nibiru (sumero) o Marduk (babilonese).
Sitchin ci racconta una storia che si tramanda dall’alba dei tempi, traducendola in dati astronomici.
Ecco la sua rielaborazione della cosmogonia sumera e babilonese.
All’inizio dei tempi esisteva unicamente il Sole (AP.SU=che esiste dal principio), Mercurio (MUM.MU) e TIAMAT, un secondo pianeta più grande di Mercurio, definito ‘mostro d’acqua’ nell’Enuma Elish, testo sumero che racconta la cosmogonia ossia la nascita degli dei.
NIBIRU, il ‘pianeta dell’attraversamento’, detto dai babilonesi MARDUK (re dei Cieli) seguiva una rotta retrograda (opposta) rispetto a Tiamat.
Pur essendo in rotta di collisione, i due pianeti non si scontrarono: furono i satelliti di Nibiru (definiti i suoi venti) a collidere con Tiamat, incrinandolo profondamente ed aprendovi un’enorme fenditura.
Dieci degli undici satelliti di Tiamat, tranne KINGU (
Dal momento della collisione, Nibiru fu “imprigionato” dall’attrazione gravitazionale del Sistema Solare, che ne aveva modificato la traiettoria, e fu costretto a ritornare sempre nel punto della collisione, anche se con un’orbita estremamente ellittica.
La non visibilità di Nibiru sarebbe dovuta alla sua orbita estrememente allungata: il suo apogeo (punto dell’orbita più vicino al sole) e l’afelio (punto dell’orbita più lontano dal sole) si troverebbero a circa 1800 anni dal centro del nostro sistema. L’orbita completa si svolgerebbe quindi in un arco temporale di 3600 anni.
Questo vorrebbe dire che il dodicesimo pianeta si trova ad una distanza di oltre sei volte più lontano da noi di Plutone: una distanza tale da renderlo invisibile dalla Terra, perché rifletterebbe pochissimo la luce solare.