Giampiero Calapà dal Fatto:
I tre ispettori di polizia condannati per aver depistato le indagini sulla morte di Federico Aldrovandi fecero di tutto per “protegger e” i loro colleghi: emerge dalle motivazioni della sentenza del processo Aldrovandi bis”, scritte del gup Monica Bighetti, per la quale le gravi azioni di copertura e depistaggio cominciarono subito, il 25 settembre 2005, quando il pm Maria Emanuela Guerra non fu avvisata tempestivamente della gravità della situazione. L’assenza del pm dal “teatro delle indagini”, scrive il gup, è stata causata volutamente dalla “mancata esplicitazione dell’evidente e assoluta necessità della sua presenza, da comunicare alla persona del pubblico ministero che quella scelta doveva compiere (se arrivare o meno sul posto), ad una manifesta propensione a ridimensionare, ridurre, sottostimare l’evento nella procedura di informale comunicazione (telefonata), che lascia pensare che quella presenza sul posto non fosse affatto gradita”.
Infatti, il magistrato di turno non fu avvisato in modo corretto e in quella telefonata Paolo Marino, dirigente delle Volanti, riferì di un decesso per malore, perché “a differenza del sostituto di turno, Marino non aveva interesse a che il pm si recasse sul posto e apprezzasse di persona cosa stava accadendo, vedesse il ragazzo, interrogasse gli agenti, dirigesse le indagini”. Senza riferimento alcuno al pestaggio di Federico, 18 anni, “studente, incensurato, integrato, di condotta regolare, inserito in una famiglia di persone perbene, padre appartenente al corpo dei vigili urbani, madre impiegata comunale, un fratello più giovane, un nonno affettuoso al quale il ragazzo era molto legato”. Federico morì “all’alba, in un parco cittadino, dopo uno scontro fisico violento con quattro agenti di polizia, senza alcuna effettiva ragione”. Quindi il gup spiega che i funzionari della Questura di Ferrara Marino (un anno per omissione), Marcello Bulgarelli (dieci mesi per omissione e favoreggiamento) e Marco Pirani (otto mesi per omissione) hanno depistato per coprire i colleghi – Paolo Forlani, Luca Pollastri, Enzo Pontani e Monica Segatto condannati in primo grado a tre anni e sei mesi per omicidio colposo: “Preoccupati dei riflessi negativi del fatto rispetto alle loro responsabilità di direzione e organizzazione dei servizi, sono stati padroni del campo del delitto per tutto il tempo necessario allo svolgimento delle prime sommarie indagini e all’indirizzo investigativo che si è ritenuto di dare alle stesse”. Inammissibile, perché “la ragion d’essere dello Stato democratico di diritto sta nel garantire che i rapporti civili si svolgano con assoluta esclusione dell’uso della forza e della violenza” e “la trasgressione di questo vincolo da parte dello Stato – continua il gup – l’uso della violenza contro inermi, delegittima lo Stato”.