La storia.
E’ quasi la mezzanotte di quel 23 Marzo 1988 quando la mamma di Marirosa Andreotta, rientra in casa insieme al figlio minore. La scena che le si presenta, varcata la soglia del bagno, è devastante: i due corpi nudi di sua figlia e del suo fidanzato, Luca Orioli, privi di vita, si trovano il primo nella vasca e il secondo supino sul pavimento. La signora cerca di soccorrere la figlia, ma è tutto inutile. La causa del decesso verrà qualche ora dopo verbalizzata dalla dottoressa Rosa Salinardi come arresto cardiocircolatorio da folgorazione, causato dal malfunzionamento del termoconvettore elettrico trovato ai piedi della vasca. Sarà la stessa Salinardi ad affermare in una dichiarazione rilasciata due anni dopo che quando fu accompagnata al comando dei carabinieri il 24 Marzo 1988, il giudice - il vicepretore Izzo - le chiese se la causa della morte poteva essere la corrente elettrica e lei rispose che poteva esserlo. Ma notò che tutte le persone che si stavano occupando del caso avevano un comportamento “frettoloso”. E quel comportamento frettoloso viene tenuto anche dal pm della procura di Matera, il quale, non ritenendo opportuno effettuare l’autopsia, autorizza Izzo a seppellire Luca e Marirosa il 24 Marzo 1988.
Caso chiuso: la morte è stata provocata da un incidente domestico, tant’è vero che il primo accusato dell’evento tragico è la De Longhi, la casa produtrice del termoconvettore ritenuto responsabile del decesso dei due ragazzi. Un anno dopo i terribili fatti, in seguito a una perizia disposta dal giudice istruttore dell’epoca, Michele Salvatore effettuata dall’ingegner Sante Valecce, il termoconvettore viene dichiarato “innocente”, funziona correttamente e non può aver provocato la morte di Luca e Marirosa per folgorazione. La causa delle morte, secondo Valecce, è da imputare invece a un interruttore disattivato che avrebbe causato una scossa elettrica. Ma tale perizia fu contestata dalle parti e 7 anni dopo, nel 1996, fu aperto un procedimento per falsa perizia a carico dell’ingegner Valecce. Il procedimento verrà dichiarato estinto poiché il reato era ormai prescritto...
Negli anni a seguire le perizie furono varie e svariate, ma la maggior parte di esse concordavano sul fatto che la morte dei due ragazzi non doveva imputarsi né a folgorazione né a elettrocuzione. La vera causa era annegamento.
La perizia di del criminologo Fancesco Bruno
Nel 1998, a dieci lunghi anni dalla morte dei fidanzatini di Policoro, il criminologo Francesco Bruno redige un parere “pro veritate”, nel quale si legge tra l’altro: “ una falsa ma apparentemente plausibile interpretazione dei fatti ha preso il posto della verità, fino a nasconderne l’evidenza, fuorviando finanche il giudizio di quattro diverse consulenze tecniche. [...] Dobbiamo riconoscere - aggiunge - che i corpi dei due ragazzi, quella notte, presentavano entrambi delle lesioni violente consistenti nella ferita lacero contusa alla nuca di Marirosa e nel gonfiore di un testicolo di Luca, nonché delle macchie e dei puntini di colore rossastro sparsi in varie zone del corpo, di natura non ipostatica, data la posizione, interpretabili, quindi, come segni di violenza per azione di pressione, di afferramento, di trascinamento esercitata sui corpi e infine, un evidente fungo schiumoso dalle inequivocabili caratteristiche (colori, aspetto, continuità di presenza), che lo rendevano segno patognomonico di sicura interpretazione (annegamento).In altri termini possiamo concludere che già al momento della scoperta dei corpi non era lecito per nessuno, soprattutto se medico, immaginare cause di morte diverse da quella violenta per annegamento, che appariva in modo assolutamente evidente per la presenza, sui due cadaveri, di un tipico fungo schiumoso da annegamento".
L’interrogazione parlamentare
Il giudice Roberto Olivieri del Castillo non esclude che Luca e Marirosa siano stati uccisi.
A seguito di un’interrogazione parlamentare all’allora ministro di grazia e giustizia Piero Fassino da parte dell’onorevole Vincenzo Sica nel luglio del 2000, il ministro così risponde:
“La complessa vicenda ha risentito in modo determinante dell'insufficienza degli accertamenti espletati nel corso dell'esame esterno dei cadaveri, che fu compiuto da un sanitario, la dott.ssa Salinardi, officiata dall'allora vice pretore onorario di Pisticci dottor Ferdinanzo Izzo, che attribuì la causa della morte a folgorazione. Solo nel 1996, allorchè la dottoressa Salinardi rese dichiarazioni ai Carabinieri di Policoro, ammettendo di essersi limitata a scoprire il volto dei due giovani, è stato incardinato procedimento penale nei confronti del sanitario e del dottor Izzo, che attualmente non fa più parte dell'Ordine Giudiziario. Essendo state, peraltro, prospettate perplessità circa l'individuazione della causa di morte, il G.I. del Tribunale di Matera aveva incaricato, in data 21 luglio 1989, il perito Sante Velecce di espletare accertamenti elettrotecnici che venivano depositati il 17 novembre 1989 ed individuavano la causa del decesso in un incidente di elettrocuzione in bassa tensione. In data 7 ottobre 1994 l'ing. Velecce veniva denunziato per il reato di cui all'articolo 373 del codice penale, in relazione alla ritenuta infedele esecuzione dell'incarico, ma il relativo procedimento veniva archiviato per intervenuta prescrizione. (…) Quanto alla posizione del dott. Vincenzo Autera, sostituto procuratore della Repubblica incaricato del procedimento relativo alla morte dei due giovani, le doglianze che lo riguardano, in particolare, sono quelle di non aver disposto l'autopsia dei due cadaveri e di non aver proceduto immediatamente alla contestazione del reato all'ingegner Velecce, con conseguente determinarsi della prescrizione. (...) Si segnala che la Procura della Repubblica ha a suo tempo formulato richiesta di rinvio a giudizio nei confronti di Ferdinando Izzo, Rosa Salinardi e Antonio Maiorana per l'ipotizzato reato di cui agli articoli 476 e 479 del codice penale, attribuito nelle rispettive qualità di vice pretore, di medico incaricato di procedere alla visita ispettiva sui cadaveri e di ufficiale di P.G., in quanto il primo e il terzo avevano attestato falsamente di aver partecipato alle operazioni ispettive, consistenti nell'esame esterno dei corpi, mentre l'Izzo e la Salinardi avevano attestato che la morte dei due giovani doveva considerarsi derivata da «arresto cardiocircolatorio provocato da folgorazione», malgrado l'assenza di segni univocamente riconducibili a tale causa e la superficialità della visita necroscopica effettuata, tale da non garantire l'attendibilità dei risultati conseguiti all'esito dell'accertamento.
Il procedimento penale in questione si è tuttavia concluso il 19 novembre 1999 con sentenza del G.U.P. di Matera che ha dichiarato non doversi procedere nei confronti degli imputati «perché il fatto non sussiste”.
Punti oscuri
- Secondo i carabinieri nella perizia fatta frettolosamente da Velecce le foto scattate (di cui qui si parlerà anche più avanti) sono state “montate” in un ordine assolutamente stravolto rispetto a quello cronologico con cui furono scattate, tutto ciò «allo scopo – sostengono i carabinieri – di comprovare falsamente che i conduttori all’interno della placca dell’interruttore presentavano una copertura isolante appena sufficiente» in modo che fosse avallata la tesi della folgorazione.
- Il comportamento del magistrato che ha condotto le prime indagini, amico sia della famiglia Orioli che di quella Andreotta, secondo i carabinieri «non è lineare»: sarebbe stato proprio lui a chiedere al medico che aveva il compito di ispezionare i cadaveri di effettuare una «celere ispezione».
- L’autopsia non viene effettuata: qualcuno di Policoro avvicina la madre di Luca Orioli e le prospetta di avere «il potere di ottenere la possibilità di evitarla» in virtù delle sue conoscenze nell’ambito della magistratura materana.
- Altra figura “enigmatica” è il prete che arriva tra i primi in casa Andreotta, va dai genitori di Luca per comunicar loro l’accaduto, chiama i carabinieri, passa in parrocchia a prelevare i paramenti sacri per benedire le salme e, affermano alcuni, avrebbe consigliato a qualche amico di Luca e Marirosa di far sparire tutte le lettere che si erano scambiati. Cosa c’era in quella corrispondenza tenuta tra alcuni ragazzi e ragazze e Luca e Marirosa?
- In una telefonata intercettata dai carabinieri una zia e il nipote di questa discutono dell’accaduto. La donna dice: «Non troveranno mai niente, perché, secondo me, e te lo dico come una mamma». Il nipote la interrompe: «A parte il fatto che io non credo che sia un omicidio». Lei riprende: «No, no. Senti, io credo che c’era qualcuno in casa. E che purtroppo è successo. E Luca, innocente, ha dovuto subire. Un qualcuno di mafioso. Scusa. Ma Claudio Lovecchio l’hai mai sentito?». Claudio Lovecchio è stato ucciso: uno dei tanti casi di lupara bianca. Ma che ha a che fare costui con i fidanzatini di Policoro?
- Solo qualche mese fa nel corso del programma “Chi l’ha visto?” è spuntata un’altra verità che apre tutta una serie di interrogativi. Viene intervistato il fotografo Salvatore Egidio Cerabona, il quale afferma che prima della mezzanotte (ora del rientro a casa della signora Andreotta, la prima a scoprire i cadaveri) fu chiamato dal maresciallo di Montalbano Jonico, Giovanni Pagano, per scattare delle foto. Prima di recarsi nel luogo dove avrebbe dovuto essere realizzato il servizio, i due si erano fermati in caserma a prelevare le chiavi di casa Andreotta.
De Magistris indaga.
Si deve al magistrato Luigi De Magistris se questo, come altri casi “insabbiati” dalle toghe lucane, è stato riportato alla luce. Ecco perché De Magistris è stato ed è ostacolato tramite minacce e provvedimenti disciplinari: perché fa paura a molti. Fa paura alla coppia Cannizzaro - Genovese, sulla quale è incentrato il filone sanità dell’inchiesta. Fa paura all’ex presidente del tribunale di Matera, Iside Granese per i finanziamenti della Banca Popolare del Materano, Gruppo Popolare dell'Emilia, da lei ricevuti (filone banche). Fa paura a Vincenzo Vitale, presidente di Marinagri, un complesso di alberghi e ville dal valore di 200 milioni di euro, costruito su terreno demaniale della città di Policoro (filone speculazione edilizia).
Nell’ultima lettera che Marirosa scrive al fidanzato c’è scritto: «Amore mio, spero che resterai accanto a me, anche quando ti confesserò una piccola parte di me che voglio cancellare per sempre». E’ possibile che “quella parte di Marirosa” fosse da collegare ai “festini” a base di sesso e droga ai quali prendevano parte personaggi potenti locali, quali il senatore di AN e sindaco del Comune di Matera, Nicola Buccico, l’avvocato Giuseppe Labriola, segretario provinciale di AN e un non precisato giudice "dai capelli bianchi e dagli occhi di ghiaccio"?
Bizzarro il fatto che lo stesso Buccico prima sia stato il difensore della famiglia Orioli e poi si sia dimesso e abbia assunto la difesa del pm Vincenzo Autera, colui che aveva chiesto l’archiviazione del caso della morte per omicidio di Luca e Marirosa.
Il capoclan.
Salvatore Scarcia è tra i più noti capiclan della mafia del Metapontino. Scarcia è stato interrogato da de Magistris nel carcere di Melfi, dove sta scontando una condanna per associazione mafiosa. Ma non è un «pentito», quindi ciò che ha detto non gli procurerà alcuno sconto di pena. Scarcia ha parlato dettagliatamente di un «summit» tenuto nell'estate del 2000: «Era una domenica mattina. Avevo saputo che ci sarebbe stata una riunione importante. E intorno alle 10 circa mi appostai nei pressi dell'Ittica Valdagri... Vidi arrivare una Fiat Croma bianca con quattro persone a bordo: l'autista, il pm di Potenza, Felicia Genovese, suo marito Michele Cannizzaro e il colonnello dei carabinieri Pietro Gentili. Poi, con una Mercedes scura, arrivarono il pm di Matera, Vincenzo Autera, e il dottor Giuseppe Galante (capo della procura di Potenza, ndr) e una terza persona che non ho riconosciuto. Da un' altra Mercedes, di colore chiaro, scesero l'imprenditore Gino Lavieri e Walter Mazziotta, banchiere (in realtà, bancario, ndr) di Policoro. Infine, arrivarono altre due auto, una Golf bianca e una Thema Ferrari amaranto, ciascuna con due persone a bordo. Tutti entrarono nell'ufficio di Vitale». A questo punto, Scarcia esce allo scoperto e bussa alla porta dell'ufficio. Va ad aprirgli Vitale. «Gli chiesi di farmi entrare - racconta - e lui diventò pallido. Gli dissi che già sapevo chi c'era dentro, lo forzai ed entrai. Così mi feci vedere da tutti. Intuii che stavano progettando qualcosa di grosso a livello economico. Autera è socio di Marinagri attraverso un prestanome ed era tra quelli che aveva partecipato ai festini a luci rosse che si facevano da quelle parti. Lui, Galante e Genovese cercarono di calmarmi e mi dissero che mi avrebbero aiutato economicamente, se io in zona non mettevo bombe e non facevo attentati. Poi con discorsi un po' strani mi dissero se potevo far qualcosa a Mario Altieri (ex sindaco di Scanzano Jonico), perché dove ci trovavamo doveva venire un "paradiso terrestre", così mi dissero, e invece per colpa di Mario Altieri il tutto era stato bloccato». Scarcia a questo punto non ci sta, arretra, teme di poter essere prima usato e poi incastrato. E così viene anche minacciato. «Guarda che ti facciamo arrestare quando vogliamo, mi dicono». Scarcia abbozza e se ne va. Ma lì, quella domenica mattina, aveva visto, seduti intorno allo stesso tavolo, Vincenzo Autera, il pm che senza aver nemmeno disposto l'autopsia dei cadaveri dei fidanzatini chiese l'archiviazione del caso, e Walter Mazziotta, che nel 1994 finisce indagato proprio per l'omicidio di Luca e Marirosa. Negli anni successivi, Autera, imputato di aver affermato il falso sulla morte dei fidanzatini, verrà prosciolto a Salerno. Mentre il vicepretore Ferdinando Izzo, delegato di Autera, e accusato come lui, verrà assolto a Matera: grazie alla bravura di Nicola Buccico, attuale sindaco di Matera ed ex membro laico del Csm, che dopo essere stato il legale della famiglia di Luca Orioli diventa il difensore del vicepretore Izzo.
L'inchiesta: «Toghe lucane», condotta dal pm Luigi de Magistris, ipotizza un «comitato d' affari» composto da magistrati, politici e imprenditori.
Le accuse: L'ipotesi è il condizionamento di investimenti e nomine pubbliche. Coinvolti anche cinque magistrati.
E’ quasi la mezzanotte di quel 23 Marzo 1988 quando la mamma di Marirosa Andreotta, rientra in casa insieme al figlio minore. La scena che le si presenta, varcata la soglia del bagno, è devastante: i due corpi nudi di sua figlia e del suo fidanzato, Luca Orioli, privi di vita, si trovano il primo nella vasca e il secondo supino sul pavimento. La signora cerca di soccorrere la figlia, ma è tutto inutile. La causa del decesso verrà qualche ora dopo verbalizzata dalla dottoressa Rosa Salinardi come arresto cardiocircolatorio da folgorazione, causato dal malfunzionamento del termoconvettore elettrico trovato ai piedi della vasca. Sarà la stessa Salinardi ad affermare in una dichiarazione rilasciata due anni dopo che quando fu accompagnata al comando dei carabinieri il 24 Marzo 1988, il giudice - il vicepretore Izzo - le chiese se la causa della morte poteva essere la corrente elettrica e lei rispose che poteva esserlo. Ma notò che tutte le persone che si stavano occupando del caso avevano un comportamento “frettoloso”. E quel comportamento frettoloso viene tenuto anche dal pm della procura di Matera, il quale, non ritenendo opportuno effettuare l’autopsia, autorizza Izzo a seppellire Luca e Marirosa il 24 Marzo 1988.
Caso chiuso: la morte è stata provocata da un incidente domestico, tant’è vero che il primo accusato dell’evento tragico è la De Longhi, la casa produtrice del termoconvettore ritenuto responsabile del decesso dei due ragazzi. Un anno dopo i terribili fatti, in seguito a una perizia disposta dal giudice istruttore dell’epoca, Michele Salvatore effettuata dall’ingegner Sante Valecce, il termoconvettore viene dichiarato “innocente”, funziona correttamente e non può aver provocato la morte di Luca e Marirosa per folgorazione. La causa delle morte, secondo Valecce, è da imputare invece a un interruttore disattivato che avrebbe causato una scossa elettrica. Ma tale perizia fu contestata dalle parti e 7 anni dopo, nel 1996, fu aperto un procedimento per falsa perizia a carico dell’ingegner Valecce. Il procedimento verrà dichiarato estinto poiché il reato era ormai prescritto...
Negli anni a seguire le perizie furono varie e svariate, ma la maggior parte di esse concordavano sul fatto che la morte dei due ragazzi non doveva imputarsi né a folgorazione né a elettrocuzione. La vera causa era annegamento.
La perizia di del criminologo Fancesco Bruno
Nel 1998, a dieci lunghi anni dalla morte dei fidanzatini di Policoro, il criminologo Francesco Bruno redige un parere “pro veritate”, nel quale si legge tra l’altro: “ una falsa ma apparentemente plausibile interpretazione dei fatti ha preso il posto della verità, fino a nasconderne l’evidenza, fuorviando finanche il giudizio di quattro diverse consulenze tecniche. [...] Dobbiamo riconoscere - aggiunge - che i corpi dei due ragazzi, quella notte, presentavano entrambi delle lesioni violente consistenti nella ferita lacero contusa alla nuca di Marirosa e nel gonfiore di un testicolo di Luca, nonché delle macchie e dei puntini di colore rossastro sparsi in varie zone del corpo, di natura non ipostatica, data la posizione, interpretabili, quindi, come segni di violenza per azione di pressione, di afferramento, di trascinamento esercitata sui corpi e infine, un evidente fungo schiumoso dalle inequivocabili caratteristiche (colori, aspetto, continuità di presenza), che lo rendevano segno patognomonico di sicura interpretazione (annegamento).In altri termini possiamo concludere che già al momento della scoperta dei corpi non era lecito per nessuno, soprattutto se medico, immaginare cause di morte diverse da quella violenta per annegamento, che appariva in modo assolutamente evidente per la presenza, sui due cadaveri, di un tipico fungo schiumoso da annegamento".
L’interrogazione parlamentare
Il giudice Roberto Olivieri del Castillo non esclude che Luca e Marirosa siano stati uccisi.
A seguito di un’interrogazione parlamentare all’allora ministro di grazia e giustizia Piero Fassino da parte dell’onorevole Vincenzo Sica nel luglio del 2000, il ministro così risponde:
“La complessa vicenda ha risentito in modo determinante dell'insufficienza degli accertamenti espletati nel corso dell'esame esterno dei cadaveri, che fu compiuto da un sanitario, la dott.ssa Salinardi, officiata dall'allora vice pretore onorario di Pisticci dottor Ferdinanzo Izzo, che attribuì la causa della morte a folgorazione. Solo nel 1996, allorchè la dottoressa Salinardi rese dichiarazioni ai Carabinieri di Policoro, ammettendo di essersi limitata a scoprire il volto dei due giovani, è stato incardinato procedimento penale nei confronti del sanitario e del dottor Izzo, che attualmente non fa più parte dell'Ordine Giudiziario. Essendo state, peraltro, prospettate perplessità circa l'individuazione della causa di morte, il G.I. del Tribunale di Matera aveva incaricato, in data 21 luglio 1989, il perito Sante Velecce di espletare accertamenti elettrotecnici che venivano depositati il 17 novembre 1989 ed individuavano la causa del decesso in un incidente di elettrocuzione in bassa tensione. In data 7 ottobre 1994 l'ing. Velecce veniva denunziato per il reato di cui all'articolo 373 del codice penale, in relazione alla ritenuta infedele esecuzione dell'incarico, ma il relativo procedimento veniva archiviato per intervenuta prescrizione. (…) Quanto alla posizione del dott. Vincenzo Autera, sostituto procuratore della Repubblica incaricato del procedimento relativo alla morte dei due giovani, le doglianze che lo riguardano, in particolare, sono quelle di non aver disposto l'autopsia dei due cadaveri e di non aver proceduto immediatamente alla contestazione del reato all'ingegner Velecce, con conseguente determinarsi della prescrizione. (...) Si segnala che la Procura della Repubblica ha a suo tempo formulato richiesta di rinvio a giudizio nei confronti di Ferdinando Izzo, Rosa Salinardi e Antonio Maiorana per l'ipotizzato reato di cui agli articoli 476 e 479 del codice penale, attribuito nelle rispettive qualità di vice pretore, di medico incaricato di procedere alla visita ispettiva sui cadaveri e di ufficiale di P.G., in quanto il primo e il terzo avevano attestato falsamente di aver partecipato alle operazioni ispettive, consistenti nell'esame esterno dei corpi, mentre l'Izzo e la Salinardi avevano attestato che la morte dei due giovani doveva considerarsi derivata da «arresto cardiocircolatorio provocato da folgorazione», malgrado l'assenza di segni univocamente riconducibili a tale causa e la superficialità della visita necroscopica effettuata, tale da non garantire l'attendibilità dei risultati conseguiti all'esito dell'accertamento.
Il procedimento penale in questione si è tuttavia concluso il 19 novembre 1999 con sentenza del G.U.P. di Matera che ha dichiarato non doversi procedere nei confronti degli imputati «perché il fatto non sussiste”.
Punti oscuri
- Secondo i carabinieri nella perizia fatta frettolosamente da Velecce le foto scattate (di cui qui si parlerà anche più avanti) sono state “montate” in un ordine assolutamente stravolto rispetto a quello cronologico con cui furono scattate, tutto ciò «allo scopo – sostengono i carabinieri – di comprovare falsamente che i conduttori all’interno della placca dell’interruttore presentavano una copertura isolante appena sufficiente» in modo che fosse avallata la tesi della folgorazione.
- Il comportamento del magistrato che ha condotto le prime indagini, amico sia della famiglia Orioli che di quella Andreotta, secondo i carabinieri «non è lineare»: sarebbe stato proprio lui a chiedere al medico che aveva il compito di ispezionare i cadaveri di effettuare una «celere ispezione».
- L’autopsia non viene effettuata: qualcuno di Policoro avvicina la madre di Luca Orioli e le prospetta di avere «il potere di ottenere la possibilità di evitarla» in virtù delle sue conoscenze nell’ambito della magistratura materana.
- Altra figura “enigmatica” è il prete che arriva tra i primi in casa Andreotta, va dai genitori di Luca per comunicar loro l’accaduto, chiama i carabinieri, passa in parrocchia a prelevare i paramenti sacri per benedire le salme e, affermano alcuni, avrebbe consigliato a qualche amico di Luca e Marirosa di far sparire tutte le lettere che si erano scambiati. Cosa c’era in quella corrispondenza tenuta tra alcuni ragazzi e ragazze e Luca e Marirosa?
- In una telefonata intercettata dai carabinieri una zia e il nipote di questa discutono dell’accaduto. La donna dice: «Non troveranno mai niente, perché, secondo me, e te lo dico come una mamma». Il nipote la interrompe: «A parte il fatto che io non credo che sia un omicidio». Lei riprende: «No, no. Senti, io credo che c’era qualcuno in casa. E che purtroppo è successo. E Luca, innocente, ha dovuto subire. Un qualcuno di mafioso. Scusa. Ma Claudio Lovecchio l’hai mai sentito?». Claudio Lovecchio è stato ucciso: uno dei tanti casi di lupara bianca. Ma che ha a che fare costui con i fidanzatini di Policoro?
- Solo qualche mese fa nel corso del programma “Chi l’ha visto?” è spuntata un’altra verità che apre tutta una serie di interrogativi. Viene intervistato il fotografo Salvatore Egidio Cerabona, il quale afferma che prima della mezzanotte (ora del rientro a casa della signora Andreotta, la prima a scoprire i cadaveri) fu chiamato dal maresciallo di Montalbano Jonico, Giovanni Pagano, per scattare delle foto. Prima di recarsi nel luogo dove avrebbe dovuto essere realizzato il servizio, i due si erano fermati in caserma a prelevare le chiavi di casa Andreotta.
De Magistris indaga.
Si deve al magistrato Luigi De Magistris se questo, come altri casi “insabbiati” dalle toghe lucane, è stato riportato alla luce. Ecco perché De Magistris è stato ed è ostacolato tramite minacce e provvedimenti disciplinari: perché fa paura a molti. Fa paura alla coppia Cannizzaro - Genovese, sulla quale è incentrato il filone sanità dell’inchiesta. Fa paura all’ex presidente del tribunale di Matera, Iside Granese per i finanziamenti della Banca Popolare del Materano, Gruppo Popolare dell'Emilia, da lei ricevuti (filone banche). Fa paura a Vincenzo Vitale, presidente di Marinagri, un complesso di alberghi e ville dal valore di 200 milioni di euro, costruito su terreno demaniale della città di Policoro (filone speculazione edilizia).
Nell’ultima lettera che Marirosa scrive al fidanzato c’è scritto: «Amore mio, spero che resterai accanto a me, anche quando ti confesserò una piccola parte di me che voglio cancellare per sempre». E’ possibile che “quella parte di Marirosa” fosse da collegare ai “festini” a base di sesso e droga ai quali prendevano parte personaggi potenti locali, quali il senatore di AN e sindaco del Comune di Matera, Nicola Buccico, l’avvocato Giuseppe Labriola, segretario provinciale di AN e un non precisato giudice "dai capelli bianchi e dagli occhi di ghiaccio"?
Bizzarro il fatto che lo stesso Buccico prima sia stato il difensore della famiglia Orioli e poi si sia dimesso e abbia assunto la difesa del pm Vincenzo Autera, colui che aveva chiesto l’archiviazione del caso della morte per omicidio di Luca e Marirosa.
Il capoclan.
Salvatore Scarcia è tra i più noti capiclan della mafia del Metapontino. Scarcia è stato interrogato da de Magistris nel carcere di Melfi, dove sta scontando una condanna per associazione mafiosa. Ma non è un «pentito», quindi ciò che ha detto non gli procurerà alcuno sconto di pena. Scarcia ha parlato dettagliatamente di un «summit» tenuto nell'estate del 2000: «Era una domenica mattina. Avevo saputo che ci sarebbe stata una riunione importante. E intorno alle 10 circa mi appostai nei pressi dell'Ittica Valdagri... Vidi arrivare una Fiat Croma bianca con quattro persone a bordo: l'autista, il pm di Potenza, Felicia Genovese, suo marito Michele Cannizzaro e il colonnello dei carabinieri Pietro Gentili. Poi, con una Mercedes scura, arrivarono il pm di Matera, Vincenzo Autera, e il dottor Giuseppe Galante (capo della procura di Potenza, ndr) e una terza persona che non ho riconosciuto. Da un' altra Mercedes, di colore chiaro, scesero l'imprenditore Gino Lavieri e Walter Mazziotta, banchiere (in realtà, bancario, ndr) di Policoro. Infine, arrivarono altre due auto, una Golf bianca e una Thema Ferrari amaranto, ciascuna con due persone a bordo. Tutti entrarono nell'ufficio di Vitale». A questo punto, Scarcia esce allo scoperto e bussa alla porta dell'ufficio. Va ad aprirgli Vitale. «Gli chiesi di farmi entrare - racconta - e lui diventò pallido. Gli dissi che già sapevo chi c'era dentro, lo forzai ed entrai. Così mi feci vedere da tutti. Intuii che stavano progettando qualcosa di grosso a livello economico. Autera è socio di Marinagri attraverso un prestanome ed era tra quelli che aveva partecipato ai festini a luci rosse che si facevano da quelle parti. Lui, Galante e Genovese cercarono di calmarmi e mi dissero che mi avrebbero aiutato economicamente, se io in zona non mettevo bombe e non facevo attentati. Poi con discorsi un po' strani mi dissero se potevo far qualcosa a Mario Altieri (ex sindaco di Scanzano Jonico), perché dove ci trovavamo doveva venire un "paradiso terrestre", così mi dissero, e invece per colpa di Mario Altieri il tutto era stato bloccato». Scarcia a questo punto non ci sta, arretra, teme di poter essere prima usato e poi incastrato. E così viene anche minacciato. «Guarda che ti facciamo arrestare quando vogliamo, mi dicono». Scarcia abbozza e se ne va. Ma lì, quella domenica mattina, aveva visto, seduti intorno allo stesso tavolo, Vincenzo Autera, il pm che senza aver nemmeno disposto l'autopsia dei cadaveri dei fidanzatini chiese l'archiviazione del caso, e Walter Mazziotta, che nel 1994 finisce indagato proprio per l'omicidio di Luca e Marirosa. Negli anni successivi, Autera, imputato di aver affermato il falso sulla morte dei fidanzatini, verrà prosciolto a Salerno. Mentre il vicepretore Ferdinando Izzo, delegato di Autera, e accusato come lui, verrà assolto a Matera: grazie alla bravura di Nicola Buccico, attuale sindaco di Matera ed ex membro laico del Csm, che dopo essere stato il legale della famiglia di Luca Orioli diventa il difensore del vicepretore Izzo.
L'inchiesta: «Toghe lucane», condotta dal pm Luigi de Magistris, ipotizza un «comitato d' affari» composto da magistrati, politici e imprenditori.
Le accuse: L'ipotesi è il condizionamento di investimenti e nomine pubbliche. Coinvolti anche cinque magistrati.