lunedì 1 dicembre 2008

Dinosauri in soffitta

Qualche tempo fa ho comprato un libro molto affascinante: Douglas Preston, Dinosauri in soffitta, Alacran edizioni.
Doug Preston è uno dei miei autori preferiti; insieme a Lincoln Child hanno scritto romanzi d’avventura veramente avvincenti. La loro particolarità è di mescolare la scienza e l’improbabile. Relic e Reliquary parlano di una nuova specie di ominide piuttosto aggressivo e strettamente imparentato con l’homo sapiens, Mount Dragon parla di una base ipertecnologica nel deserto americano e di un tesoro sepolto da secoli in un canyon, Ice limit parla della scoperta nella Terra del fuoco di un meteorite dotato di caratteristiche uniche, la Stanza degli orrori (forse il più bello) parla dell’uomo che attraverso anni di orribili esperimenti scientifici ha forse scoperto l’elisir di lunga vita, Marea cerca di risolvere il mistero archeologico del Money Pit (di cui ho parlato qui) cercando di darne una spiegazione verosimile anche se fantasiosa. Il pregio di questi autori è quello di viaggiare sempre sulla soglia tra due mondi: quello della fantasia e quello della scienza. Inoltre hanno partorito uno dei personaggi più interessanti della letteratura investigativa dopo Sherlock Holmes: l’agente speciale Aloysius Pendergast. Uomo dalla cultura sconfinata e dai mille talenti.
Il libro di cui parlo oggi invece tratta solo di storie vere. In realtà non è neanche una vera novità visto che fu in occasione di questa pubblicazione che Preston e Child si conobbero. Preston propose il manoscritto alla casa editrice e Child gli fece da editor. Dopo la pubblicazione in America di questo libro i due divennero amici e scrissero a quattro mani tutti gli altri avvincenti romanzi. Dinosauri in soffitta racconta la storia del Museo di storia naturale di New York attraverso le stanze che ospitano i vari reperti.
Talvolta si tratta di oggetti unici, talvolta la storia dietro al reperimento di un oggetto è una vera e propria avventura. Ieri ho letto il capitolo che racconta di come i primi anni del secolo passato abbiano visto diversi musei scatenarsi nella caccia al fossile di dinosauro. Curatori spietati, paleontologi rivali che si screditavano a vicenda, falsi scientifici e cacciatori di dinosauri sguinzagliati per tutta l’America a caccia del dinosauro più grande e più completo. Il T Rex deve il suo nome a Barnum Brown che ne trovò per primo il fossile: il re delle lucertole predatrici. deve essere stato un momento unico! Anche se per Brown il ricordo più impressionante fu quando i suoi figli trovarono un fossile di dinosauro dal becco ad anatra che aveva ancora brandelli di pelle e carne fossilizzati.
Un’altra storia che mi ha particolarmente entusiasmato è quella del ritrovamento del più grande meteorite del mondo.
Robert Edwin Peary esploratore statunitense. Ingegnere civile della marina degli Stati Uniti, nel 1892 fece il suo primo viaggio esplorativo in Groenlandia durante il quale percorse circa 800 km e scoprì la baia a cui diede il nome di Independence Bay.
Nel corso del suo secondo viaggio, nel 1895, esplorò l'area più settentrionale della grande isola, che da allora è nota come Terra di Peary, e, dopo qualche anno, ne raggiunse l'estremità settentrionale (la terra emersa più a nord del mondo, a 83° 20'), cui diede il nome di Kap Morris Jesup. Peary dimostrò che la Groenlandia è un'isola e non parte del continente, e che la sua copertura di ghiaccio non si spinge oltre gli 82° di latitudine nord. Nel corso dei suoi viaggi studiò gli usi e i costumi degli Inuit, dai quali imparò le tecniche per sopravvivere nell'ambiente artico.
Esiste ancora una diatriba tra gli studiosi su chi raggiunse per primo il polo nord (se Peary o Cook).
Durante le sue esplorazioni Peary notò che gli Inuit usavano utensili ferrosi come per esempio gli arpioni, nonostante non fosse loro nota la metallurgia. Tutte le testimonianze parlavano di una montagna caduta dal cielo ed è inutile dire quanto l’informazione solleticò la curiosità dell’esploratore. Nel 1894 Peary, con l’aiuto di una guida locale raggiunse l’isola di Saviksoah, al largo di Capo York dove trovò non uno ma ben tre meteoriti chiamati dagli Inuit: la Tenda, la Donna e il Cane. Il più grosso (la Tenda) pesava 31 tonnellate e ci vollero tre anni per organizzarne lo spostamento e l’imbarco. Per compiere l'opera fu necessaria addirittura la costruzione di un'apposita ferrovia, la prima in Groenlandia. L'esploratore fu ripagato dei suoi sforzi dal Museo di Storia naturale di New York che acquistò gli esemplari, tutt'ora in mostra nelle sue sale, per 40000 dollari. Quando Peary era sulla nave con il gigantesco meteorite issato a bordo, sua figlia indicò l’immensa massa pronunciando una parola incomprensibile: ahnighito!
Questo è ancora il nome del meteorite.
Visto che nessun pavimento avrebbe retto al peso di Ahnighito, la massa principale di 31 tonnellate in mostra nella sala Arthur Ross Hall, il museo dovette realizzare un robusto supporto appoggiato direttamente sullo strato roccioso che giace al di sotto del museo.