lunedì 4 maggio 2009

Disarmare le banche


Da Micromega:
Grandi affari per le "banche armate", soprattutto quelle italiane: raddoppia il numero di operazioni finanziarie autorizzate dal ministero dell'Economia, aumenta di due volte e mezzo la quantità di denaro "movimentata", triplicano i "compensi di intermediazione" che gli istituti di credito hanno incassato dalle aziende armiere e tornano saldamente in vetta alla classifica le banche di ‘casa nostra', comprese quelle – come Intesa-San Paolo e Unicredit –, che in passato, sulla spinta della campagna di pressione promossa dalle riviste Nigrizia, Missione Oggi e Mosaico di Pace, avevano annunciato di voler rinunciare ad attività legate al commercio delle armi.
Sono i dati che emergono dalla Relazione del ministero dell'Economia e delle Finanze sull'esportazione, l'importazione e il transito dei materiali di armamento, non ancora resa pubblica dal governo, di cui Adista è entrata in possesso. Informazioni riservate, quelle bancarie, perché il governo, nonostante le richieste delle associazioni e delle riviste pacifiste, non ha inserito le tabelle sulle attività degli istituti di credito nel più sintetico Rapporto sull'export/import di armi presentato alla fine di marzo (v. Adista nn. 40 e 43/09).
La ‘regina' delle "banche armate" è la Banca Nazionale del Lavoro che, insieme a Bnp Paribas (di cui fa parte), ha incassato per conto delle industrie armiere 1.461 milioni di euro, soprattutto per operazioni relative ad esportazioni di armi italiane all'estero, sebbene in passato si sia impegnata a limitare le proprie attività relative al commercio di armi "unicamente a quelle verso Paesi Ue e Nato".

Al secondo posto c'è Intesa-San Paolo, con 851 milioni – a cui andrebbero aggiunti anche gli 87 milioni della Cassa di Risparmio di La Spezia, ormai parte del gruppo –, per lo più relativi a "programmi intergovernativi". Dati in apparente contraddizione con le dichiarazioni di due anni fa, in cui il gruppo, proprio per "dare una risposta significativa a una richiesta espressa da ampi e diversificati settori dell'opinione pubblica che fanno riferimento a istanze etiche" annunciò di sospendere "la partecipazione a operazioni finanziarie che riguardano il commercio e la produzione di armi e di sistemi d'arma pur consentite dalla legge 185/90. (…)

E passo indietro è anche quello di Unicredit che, dopo aver più volte comunicato di voler rinunciare ad appoggiare le industrie armiere ed aver in parte ridotto negli anni il suo coinvolgimento nel settore della finanza "armata", si piazza al terzo posto con 607 milioni di euro.
Dopo una serie di istituti esteri (Deutsche Bank con 776 milioni, Societé Generale con 431, Natixis con 242), al settimo e ottavo posto si trovano due banche italiane che stanno scalando la Antonveneta, con 217 milioni, e Banco di Brescia, con 208 milioni, nonostante il gruppo Ubi (Unione Banche Italiane), di cui fa parte, a fine 2007 stabilì fra l'altro che "ogni banca del gruppo dovrà astenersi dall'intrattenere rapporti relativi all'export di armi con soggetti che siano residenti in Paesi non appartenenti all'Unione Europea o alla Nato" e che "siano direttamente o indirettamente coinvolti nella produzione e/o commercializzazione di armi di distruzione di massa e di altri sistemi d'armamento quali bombe, torpedini, mine, razzi, missili e siluri"
A seguire le altre banche italiane: Banco di Sardegna (63 milioni), Banco di san Giorgio (30 milioni), Banca popolare commercio industria (22 milioni), Banca Valsabbina (17 milioni), Carige-Cassa Risparmio Genova e Imperia (11 milioni), Banca popolare Emilia Romagna (9 milioni), Banca popolare di Spoleto e Banca Popolare Etruria e Lazio (7 milioni), Bipop Carire (3 milioni), Bcc di Bientina e Banca popolare del Piemonte (1 milione) e una serie di banche con importi inferiori ai 500mila euro (Friulcassa, Credito Valtellinese, Banca Popolare di Milano e le Casse di Risparmio di Bologna e di Teramo)"Da quando lo scorso anno, in fase di cambiamento di governo, è sparito, senza alcuna spiegazione, dalla Relazione della Presidenza del Consiglio il lungo e dettagliato elenco delle singole operazioni effettuate dagli istituti di credito (v. Adista n. 51/08) è praticamente impossibile giudicare l'operato delle singole banche e valutare la rispondenza delle operazioni da loro effettuate alle diverse direttive che hanno emanato negli ultimi anni", spiega Giorgio Beretta, analista della Rete Italiana Disarmo ed ex coordinatore della campagna di pressione alle "Banche armate". "La non pubblicazione di quell'elenco è una grave mancanza non solo per la nostra campagna e i suoi aderenti, ma anche per quegli istituti di credito che, in risposta alle pressioni della campagna, delle associazioni e dei loro stessi correntisti, hanno assunto direttive più restrittive sulla fornitura di servizi all'esportazione italiana di armi.