giovedì 30 aprile 2009

Storia di una holding politico criminale - Parte 3


Il 16 marzo 1978 le Brigate rosse sequestrano l’allora presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro. Lo terranno in ostaggio per 55 giorni durante i quali si svolgeranno, in sedi diverse, trattative tra varie parti in campo: alcuni politici, le stesse Brigate rosse, membri della nuova camorra organizzata, della mafia e anche della banda della magliana. Verrano diffusi dalle BR sei comunicati, fatti trovare in posti pubblici previa telefonata a quotidiani romani. Ci fu però un settimo comunicato in cui il gruppo terroristico dichiarava di aver giustiziato l’onorevole Moro e di aver gettato il ciorpo nel lago della Duchessa (Rieti).
Il comunicato è un falso malconfezionato e il falsario che l’ha redatto è Antonio Chichiarelli detto Toni il falsario alias Il Larinese. Il Larinese è in buoni rapporti con la malavita romana e in particolare con Nembo Kid e il Libanese. I motivi per i quali il Larinese abbia confezionato questo maldestro tenativo di imitazione non saranno mai chiariti. Certo è che la banda della magliana fu allertata da più parti e invitata ad occuparsi del sequestro Moro. Raffaele Cutolo alias ‘O professore, su invito del suo avvocato Cangemi, contattò il Sardo e il Libanese per individuare il covo in cui era tenuto l’onorevole. Il Sardo, dopo pochi giorni, fece sapere al camorrista che il covo era stato individuato. Cutolo testimoniò in seguito: “Mi fu detto (dai miei tramiti) che i referenti politici dell’avvocato avevano detto di non mettere più il naso in quella vicenda”. Anche il Freddo conferma la notizia: “Durante il sequestro Moro ho partecipato a un incontro avvenuto sulla riva del Tevere, sotto ponte Marconi, al quale parteciparono il Sardo, il libanese e un uomo politico molto importante che se non ricordo male doveva essere l’onorevole Flaminio Piccoli. Io ed altri rimanemmo sulla strada. L’incontro serviva a stabilire i termini di un nostro intervento per salvare Moro.” Altre testimonianze sui contatti tra malavita e potere politico sulla vicenda Moro arrivano da Tommaso Buscetta che all’epoca stava tentando di intercedere per la liberazione dell’ostaggio. Pippo Calò alias Zio Carlo si oppose fermamente perché i suoi referenti politici non volevano che Moro fosse liberato.Anche il mafioso Stefano Bontade dichiarerà che Zio Carlo gli riferì: “ Ancora non l’hai capito che uomini politici di primo piano del suo partito non lo vogliono libero?” (dalla domanda di autorizzazione a procedere contro il senatore Giulio Andreotti, 8 giugno 1993)
Il 9 maggio 1978 il cadavere di Aldo Moro viene rinvenuto in una Renault 4 rossa parcheggiata in via Caetani. Il successivo 1 ottobre i reparti speciali antiterrorismo del generale Dalla Chiesa fanno irruzione nel covo brigatista di Via Montenevoso a Milano dove trovano il memoriale dell’onorevole Moro. Durante la sua prigionia Moro scrisse molte lettere, alcune delle quali furono fatte recapitare dai brigatisti. La maggior parte degli incartamenti rimasero però in mano brigatista. Secondo il giornalista Carmine Pecorelli alias il Pidocchio il memoriale che fu reso pubblico era stato preventivamente censurato occultando riferimenti imbarazzanti a esponenti del governo, primo fra tutti Andreotti (all’epoca presidente del consiglio).

Il Pidocchio ha informatori molto attendibili poiché è un affiliato alla P2 di Licio Gelli (nella foto sotto) e i suoi sospetti troveranno conferma l’8 ottobre del 1990, quando nello stesso covo di Via Montenevoso verrà trovata una seconda copia del manoscritto che includeva scritti inediti.


In alcuni scritti Moro rivolgeva attacchi durissimi ad Andreotti che era invischiato in un passaggio di assegni tra il palazzinaro Caltagirone (attuale suocero di Pier Ferdinando Casini e proprietario del centro commerciale romano Parco Leonardo), il gruppo SIR di Nino Rovelli e l’Italcasse. Andreotti Avrebnbe negoziato personalmente alcuni assegni cedendoli a diverse persone (dalla domanda di autorizzazione a procedere contro il senatore Giulio Andreotti, 8 giugno 1993). Pecorelli era molto interessato alle vicende andreottiane e voleva dedicargli il numero della sua rivista OP (Osservatore Politico) col titolo ‘Gli assegni del presidente’. Per evitare l’uscita di questo numero Caltagirone fece consegnare 30 milioni alla rivista e 15 a Pecorelli. Il 20 marzo 1979 Pecorelli viene ucciso con 4 colpi di pistola silenziata. Gli autori dell’omicidio non saranno mai individuati anche se il terrorista dei NAR Walter Sordi afferma che Giusva Fioravanti aveva ucciso Pecorelli su mandato di Licio Gelli,o forse per fare un favore al Nero (Carminati), che a sua volta agiva per conto della banda della Magliana.

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