“La lotta alla mafia dev'essere innanzitutto un movimento culturale che abitui tutti a sentire la bellezza del fresco profumo della libertà che si oppone al puzzo del compromesso morale, dell'indifferenza, della contiguità e quindi della complicità”.
Sembrano le parole di un poeta, invece questa considerazione l’ha fatta un eroe del ‘900.
Il giudice Paolo Borsellino è stato, insieme a Giovanni Falcone, un vanto del XX secolo. In un calendario laico sarebbe sicuramente il personaggio da ricordare alla data del 19 luglio. La data della sua morte. 16 anni fa in via D’Amelio, strada ormai tra le più tristemente famose d’Italia (insieme a Piazza Fontana, a Pizza Della Loggia, a via Fani e tante altre ancora), una bomba faceva saltare in aria il giudice e gli agenti di scorta Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. Non starò qui a raccontarvi la sua storia perché la conoscono anche i sassi. Il mio è solo un elogio postumo. Un tributo che mi sento di dare a chi come lui ha fatto della lotta alla mafia una ragione di vita, pagando con la vita il suo impegno. Lui si definiva un morto che cammina. Dopo la morte di Falcone confessava al giudice Caponnetto la sua paura di non fare in tempo a concludere le sue istruttorie. Sapeva di avere una taglia sulla testa e sapeva che, dopo la morte di Falcone il 23 maggio 1992, il prossimo sarebbe stato lui.
Se non fossero morti probabilmente oggi lui e Falcone sarebbero additati come sovversivi, malelingue, attentatori alla stabilità dello stato. Le loro indagini verrebbero bloccate come è successo a DeMagistris e a Forleo. Sarebbero indicati come schiavi di una certa parte politica che vuole abbattere il governo a suon di sentenze. Sarebbero considerati come affetti da patologie psichiatriche che li portano a perseguitare i politici e gli imprenditori. Poco prima di morire Borsellino concesse un’intervista ad una tv francese. Grazie alla rete non abbiamo più bisogno della televisione per sapere la verità e qui potete ascoltare le considerazioni di Borsellino su Mangano (il candido stalliere/eroe che Berlusconi assunse ad Arcore) e sul suo ruolo di ‘testa di ponte tra la mafia e l’imprenditoria del nord’ (ipse dixit).
Subito dopo potete cercare sempre su youtube l’apologia di Mangano e Dell’Utri per bocca dell’attuale Presidente del consiglio. Dopodiché forse correrete in bagno a vomitare e, forse, se aveste un fienile, andreste a prendere il forcone. Se poi non vi è venuta ancora l’ulcera potreste andare qui e ammirare la performance di Totò Cuffaro (per il quale Casini ha detto di scommettere la propria faccia…e già solo per questa scena l’ha persa) che aggredisce Falcone.
Se Falcone aveva ragione dicendo che “la mafia è un fatto umano e come tale ha un inizio, uno svolgimento e una fine”, spero di assistere all’epilogo.
Concludo il mio personale ricordo di Borsellino con una poesia di un altro eroe del XX secolo, raccontato egregiamente nel film ‘I cento passi’.
E venne da noi un adolescente
dagli occhi trasparenti
e dalle labbra carnose,
alla nostra giovinezza
consunta nel paese e nei bordelli.
Non disse una sola parola
nè fece gesto alcuno:
questo suo silenzio
e questa sua immobilità
hanno aperto una ferita mortale
nella nostra consunta giovinezza.
Nessuno ci vendicherà:
la nostra pena non ha testimoni.
Peppino Impastato